'Io che amo solo te' racconta settantadue ore di vita
di Damiano e Chiara, due ragazzi alle prese con il loro matrimonio: dai dubbi,
le ansie, le paure della vigilia alla sorpresa del giorno dopo quando spenti i
riflettori sulla festa resta la preziosa consapevolezza del dono dell'amore su
cui costruire una famiglia.
Ma l'amore
del titolo -celebre canzone di Sergio Endrigo- rimanda alla vera coppia
protagonista del romanzo, Ninella e don Mimì, rispettivamente madre della sposa
e padre dello sposo, una sorta di Giulietta e Romeo attempati, fuori tempo per
riparare all'unione negata in gioventù dai genitori di lui
annichiliti all'idea di imparentarsi con la famiglia di un contrabbandiere
appena arrestato.
Di mezzo una
varietà studiata e artefatta di volti e anime pressoché insoddisfatte e
smarrite: un microcosmo quello del paese che si fa macrocosmo parlando di
inabilità affettive, compromessi, scelte personali prone alle convenzioni, quel
'si fa ma non si dice' sotteso ad ogni passo dei protagonisti sull'acciottolato
bianco di una Polignano a Mare che splende di luce propria.
Il confine tra
carattere e caricatura è volutamente sottile così i personaggi vengono
sopraffatti dal messaggio in potenza di cui l'autore sembra investirli: la
sfida al tabù dell'omosessualità in una comunità chiusa di paese (ma è ancora
davvero così?); il quesito irrisolto su un amore negato e idealizzato che si
conosce davvero nel momento stesso in cui lo si affronta, lo si consuma, per
ricollocarlo nella dimensione di un 'come eravamo' che fa quasi tenerezza ma
libera finalmente; i matrimoni di facciata che santificano casalinghe
disperate, unioni che non danno gioia ma riempiono pance; l'ostentazione della
ricchezza che enfatizza falsi bisogni e giustifica tutto; il ricatto sociale di
pregiudizi e pettegolezzi. Si finisce così in una mascherata, un'accozaglia di
luoghi comuni e forzature di genere che strappa risate amare e poco altro.
La narrazione del
Bianchini strizza l'occhio a certa produzione cinematografica degli ultimi
anni (Cristina Camencini, Ferzan Özpetek, Checco Zalone, etc.) pagando però un
prezzo alto all'assenza di originalità così che piano piano la trama si sfalda
scivolando nell'ovvio quando non nella forzatura di colpi di scena che nulla
aggiungono, se mai Bianchini rende omaggio alla bellezza naturale di un piccolo
paese del sud ma con l'improbabile tratteggio di un matrimonio farsesco
atterrisce il lettore. Tutto diventa grossier al limite della macchietta e
spiace davvero per quei buoni sentimenti sottesi un pò ovunque fra le pagine.
Di più spiace perché al di là della cartolina turistica latita la bella
scrittura cui pure l'autore non è estraneo, leggere espressioni come "Matilde
mostrava a tutti i suoi occhi da cartone animato: sembrava Iriza di Candy Candy"
o "Per lei il maestrale era la peggiore sventura che si potesse
abbattere su un matrimonio. Quasi come una bomboniera sbagliata, due cugini che
restano senza tavolo o due cozze che restano sullo stomaco" e frasi ad
effetto come "Ci sono notti in cui la tua unica sveglia è il cuore" non danno merito alcuno, impressionano
solo, e non in senso positivo.
Nessun commento:
Posta un commento