lunedì 26 agosto 2013

"Io che amo solo te" di Luca Bianchini

'Io che amo solo te' racconta settantadue ore di vita di Damiano e Chiara, due ragazzi alle prese con il loro matrimonio: dai dubbi, le ansie, le paure della vigilia alla sorpresa del giorno dopo quando spenti i riflettori sulla festa resta la preziosa consapevolezza del dono dell'amore su cui costruire una famiglia.
Ma l'amore del titolo -celebre canzone di Sergio Endrigo- rimanda alla vera coppia protagonista del romanzo, Ninella e don Mimì, rispettivamente madre della sposa e padre dello sposo, una sorta di Giulietta e Romeo attempati, fuori tempo per riparare all'unione negata in gioventù dai genitori di lui annichiliti all'idea di imparentarsi con la famiglia di un contrabbandiere appena arrestato.
Di mezzo una varietà studiata e artefatta di volti e anime pressoché insoddisfatte e smarrite: un microcosmo quello del paese che si fa macrocosmo parlando di inabilità affettive, compromessi, scelte personali prone alle convenzioni, quel 'si fa ma non si dice' sotteso ad ogni passo dei protagonisti sull'acciottolato bianco di una Polignano a Mare che splende di luce propria.
Il confine tra carattere e caricatura è volutamente sottile così i personaggi vengono sopraffatti dal messaggio in potenza di cui l'autore sembra investirli: la sfida al tabù dell'omosessualità in una comunità chiusa di paese (ma è ancora davvero così?); il quesito irrisolto su un amore negato e idealizzato che si conosce davvero nel momento stesso in cui lo si affronta, lo si consuma, per ricollocarlo nella dimensione di un 'come eravamo' che fa quasi tenerezza ma libera finalmente; i matrimoni di facciata che santificano casalinghe disperate, unioni che non danno gioia ma riempiono pance; l'ostentazione della ricchezza che enfatizza falsi bisogni e giustifica tutto; il ricatto sociale di pregiudizi e pettegolezzi. Si finisce così in una mascherata, un'accozaglia di luoghi comuni e forzature di genere che strappa risate amare e poco altro.
La narrazione del Bianchini strizza l'occhio a certa produzione cinematografica degli ultimi anni (Cristina Camencini, Ferzan Özpetek, Checco Zalone, etc.) pagando però un prezzo alto all'assenza di originalità così che piano piano la trama si sfalda scivolando nell'ovvio quando non nella forzatura di colpi di scena che nulla aggiungono, se mai Bianchini rende omaggio alla bellezza naturale di un piccolo paese del sud ma con l'improbabile tratteggio di un matrimonio farsesco atterrisce il lettore. Tutto diventa grossier al limite della macchietta e spiace davvero per quei buoni sentimenti sottesi un pò ovunque fra le pagine. Di più spiace perché al di là della cartolina turistica latita la bella scrittura cui pure l'autore non è estraneo, leggere espressioni come "Matilde mostrava a tutti i suoi occhi da cartone animato: sembrava Iriza di Candy Candy" o "Per lei il maestrale era la peggiore sventura che si potesse abbattere su un matrimonio. Quasi come una bomboniera sbagliata, due cugini che restano senza tavolo o due cozze che restano sullo stomaco" e frasi ad effetto come "Ci sono notti in cui la tua unica sveglia è il cuore" non danno merito alcuno, impressionano solo, e non in senso positivo.

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